Riproposti al summit russo tra Xi e Putin i 12 punti cinesi non sono un piano di pace. Del resto per definire quanto sta accadendo tra Mosca e Kiev, Pechino non ha mai utilizzato i termini guerra o invasione, preferendo il concetto piuttosto vago di crisi. Però la mossa dell’Impero di Mezzo ha spinto lo scacchiere internazionale, a pensare che il conflitto attuale prima o poi dovrà fare posto a relazioni tra i due paesi non basate sull’uso delle armi. Se è vero che ogni guerra finisce, altrettanto scontato è che i termini del compromesso dipenderanno da quanto si raggiunge sul campo di battaglia. Altrettanto occorrerebbe chiedersi: visto che il paese invasore, la Russia, non solo non ha raggiunto nessuno degli obiettivi prefissati, ma è di fronte a una memorabile debacle e visto che il Cremlino non riconoscerà mai il proprio fallimento, come arrivare alla fine della guerra? Al quesito va aggiunto un rompicapo. L’intervento russo, voluto per ricostituire l’impero, sta al contrario ponendo le premesse per il crollo di ciò che restava di imperiale nella Russia. Chi invece ha guidato questa idea megalomane e astorica, Vladimir Putin, nel suo paese sembra più forte che mai. Se i termini del puzzle non si modificheranno, la fine del conflitto non arriverà. Che è quanto hanno indirettamente detto, il 28 marzo, il portavoce del Cremlino Peskov, e il giorno dopo lo stesso Vladimir Putin.
Ma andiamo con ordine. Il 21 marzo sul sito dell’Alta Scuola d’Economia, VSE, una delle più prestigiose università di Mosca è apparsa una ricerca titolata “Il futuro sotto le sanzioni” (Budushchee pod Sanktsjami). Il lavoro dedicato al tenore di vita della popolazione russa da qui al 2030, consiste in un sondaggio condotto nel 2022 tra rappresentanti ed esperti delle istituzioni federali, non solo economiche. Quattro gli scenari affrontati. Tutti differenti per cornici e conclusioni ma con una costante: nel prossimo futuro la classe media del paese vedrà l’aumento della quota rappresentata dai siloviki. Termine questo con cui in Russia si indicano tutti coloro che appartengono a strutture dello Stato autorizzate a usare le armi, l’equivalente dei cekisti nell’URSS. Sempre secondo l’analisi della VSE, la variazione della composizione interna alla classe media russa si accompagnerà, alla crescita delle diseguaglianze nel livello e nella qualità della vita dei cittadini. Esasperazione e tensione sociali non vengono escluse.
Uno Stato para-totalitario alle porte dell’Europa
Inutile dire che in Russia/URSS il ruolo dei cekisti/siloviki è sempre stato cruciale. L’attuale presidente russo ha prima fatto parte del KGB per poi dirigere, verso la fine degli anni ’90 del secolo scorso, alla vigilia di diventare primo ministro, l’FSB. Da presidente, esaltando il ruolo dei siloviki rispetto al resto delle formazioni armate russe, Vladimir Putin ha modificato la gerarchia interna a queste strutture. Un percorso che l’operazione militare speciale, ha ribadito. È dunque facile prevedere che se tutto resta cosi, i siloviki e il presidente russo che li guida, avranno un ruolo di primo piano nel corso trattative.
Ma Putin e la sua banda prima di arrivare a qualsiasi forma di trattative vogliono raggiungere gli obiettivi per cui hanno iniziato la guerra: smilitarizzazione e denazificazione dell’Ucraina. Ne va della loro stessa esistenza, politica e forse anche fisica. A quel punto però l’Ucraina non esisterebbe più, facendo così venir meno la ragione stessa di trattare. Dunque, con l’attuale gruppo dirigente russo non si può ragionevolmente trattare. Del resto non sarebbe possibile aspettarsi altro da persone che hanno dichiarato il conflitto basandosi su assunti metafisici: la superiorità del mondo russo rispetto agli altri, la rinascita imperiale di Mosca, il ritorno grandioso al passato di superpotenza. Ora è lampante che chi ha deciso l’entrata nel conflitto, chi ne ha elaborato le strategie e gli obiettivi, lo ha fatto in base a un delirio di onnipotenza. Soprattutto nei confronti degli ucraini definiti alla vigilia dell’invasione, “denti marci da estirpare”. È altamente probabile che nel corso delle trattive, se il gruppo dirigente russo resterà quello attuale, il Cremlino non potrà mai riconoscere che lo status di superpotenza è fuori della portata di Mosca. Anzi se questa convinzione irreale non abbandonerà la Russia, non saranno possibili trattative. In altri termini se i siloviki, come appare dalla ricerca della VSE citata, saranno la spina dorsale della Russia futura, allora militarismo e imperialismo continueranno a permeare la vita della società russa e la durata della pace sarà breve.
In queste condizioni per sopravvivere la Russia sarà obbligata a proseguire il percorso para-totalitario imboccato con la guerra. Avrà un bisogno vitale di trovare nemici esterni. E di eliminare quelli interni. In quest’ultimo caso si tratta dei ceti che cercando spazi giuridici, giudiziari, istituzionali, elettorali e di libera espressione del pensiero, per forza di cose mettono in discussione gli interessi delle élite al potere. Come è successo in Russia tra fine 2011 e inizio 2012, periodo di transizione tra la presidenza Medvedev e quella di Putin. Col ritorno di Putin, marzo 2012, la crescita economica del paese ha smesso di essere l’obiettivo prioritario del governo. Al suo posto, il nuovo/vecchio presidente, e i servizi raggruppati attorno a lui, hanno scelto controllo e repressione sociale all’interno e contrapposizione antioccidentale all’esterno.
Senza l’URSS ma con il suo universo mentale
Il successo della tecnologia politica russa sta nel fatto di essere riuscita a convincere, finora, gran parte della propria cittadinanza che chi voleva il progresso economico e sociale attraverso libertà interna e apertura internazionale, non cercava il bene del paese ma era la quinta colonna dell’Occidente. Rinnegati e traditori della Russia.
È questo il mondo mentale di Vladimir Putin. Rappresentazioni simili se non identiche a quelle sovietiche. Con qualche differenza di rilievo. Dal punto di vista della gerarchia dei poteri l’URSS si basava su tre colonne: il partito-Stato del PCUS, i militari dell’Armata Rossa, e i servizi del KGB. Una scaletta distrutta dalla guerra in Afghanistan (1979-1989). Con la sconfitta nel paese centroasiatico l’Armata rossa perdeva il mito dell’invincibilità. In quel decennio cresce anche il disprezzo dei cekisti per la corruzione e l’indifferenza presenti nel partito. Secondo il KGB, l’URSS finiva perché PCUS e militari erano diventati un rifugio per corrotti, incompetenti e incapaci. I comunisti avevano abbandonato e derubato lo Stato, i militari si arricchivano con la guerra. Da tutto questo il KGB era fuori. Il crollo dell’URSS si accompagnava così alla percezione che nello sfacelo materiale e morale del mondo sovietico i servizi erano rimasti un pilastro, l’unico, di stabilità e purezza. Il compito dei cekisti in quel momento? Arginare il partito, impedire che il comunismo facesse ulteriori, irreparabili, danni allo Stato russo e alla sua tradizione di potenza conservatrice, dispotica e imperialista. Le responsabilità del crollo non dovevano sfiorare le forze di sicurezza. Solo così sarebbe stato possibile sostituire il mito comunista con quello altrettanto leggendario della grande statualità nazionale russa. Nei due casi non cambiava però l’obbiettivo messianico. Se l’URSS, in quanto patria del comunismo mondiale era nata per cambiare il mondo grazie alla nascita dell’uomo nuovo sovietico, ora questo compito spettava al nazionalismo russo. Tornava a galla una civiltà unica che nella propria cultura politica respingeva il meccanicistico checks and balances occidentale per sostituirlo con un ordine divino e metafisico. Un mondo, il Kosmizm russo, che respinge il legalismo astratto e formale, il “delirio tecnologico del transumanesimo occidentale” e al suo posto anela a costruire un organismo dai contorni preordinati e armonici. Nella Russia contemporanea, la triade sovietica: partito-stato, FFAA e servizi di sicurezza, perde un pezzo. Non solo manca il partito-Stato, ma si elimina proprio il partito. Infatti la forza di maggioranza, Russia Unita, RU, non solo non è paragonabile al PCUS, ma nemmeno ha qualcosa a che fare col PCC cinese. RU è l’imitazione di un partito.
Se la popolazione russa verrà ingannata ancora una volta, la guerra tornerà
Restano esercito e forze di sicurezza. In Ucraina, come in Afghanistan, l’esercito non sta facendo una gran figura. Per conservare il proprio prestigio l’FSB, il corpo successore del KGB, dovrà allontanare da sé la responsabilità della sconfitta. Compito difficile visto che l’invasione dell’Ucraina è stata pensata, attuata e diretta dall’uomo che ha attraversato da leader il trapasso URSS/Russia facendo parte prima del KGB e poi dell’FSB. Se dopo quella con il KGB, l’operazione purezza riuscirà anche con l’FSB, se, come in URSS col comunismo, anche la Russia non conoscerà la verità su quanto successo prima e dopo il 24 febbraio 2024, allora lo Stato russo resterà una struttura pericolosa per i propri cittadini. E per quelli europei. Se una volta concluse le trattative il popolo russo non sarà in grado di distinguere tra la propria storia e i crimini di guerra commessi dal proprio presidente e dalle proprie truppe in Ucraina, se gli verrà risparmiata l’umiliazione della verità, se l’Ucraina non recupererà la propria integrità politica e territoriale, allora l’Europa dovrà prepararsi a nuove guerre. È questo che i 12 punti cinesi non tengono in conto.
Riferimenti
China calls for Ukraine peace talks as it steps up engagement in the conflict, The Guardian 24. II. 2023
“Nado vybivat’eti ghilye zubi”, Moskovskij Komsomoletz, 18.II.2022.
Mit Mord und Tat, Osteuropa XI. 2022.
U. Schmidt, Technologie der Seele, Berlin 2015.