Est via sublimis caelo manifesta sereno
Home Politica interna Colpito, irremovibile, infine assassinato. Aleksej Navalnyj 1976-2024.

Colpito, irremovibile, infine assassinato. Aleksej Navalnyj 1976-2024.

Persecuzione di anni contro l'oppositore. Senza spegnere la verità delle sue parole

di Barlaam

Non esistono dubbi che Aleksej Navalnyj sia stato volutamente fatto morire di stenti. Il regime carcerario, Čtrafnoj Izoljator (Č.I.Z.O), Isolamento Punitivo, cui è stato sottoposto l’attivista non poteva essere messere in atto senza l’ordine del presidente russo, e con l’avvallo supino di governo e parlamento. Il giornalista e premio Nobel russo Dmitri Muratov, racconta che uno dei medici di Navalnyj gli aveva spiegato che nessun organismo poteva sopportare a lungo pene detentive dovute al freddo, con razioni di cibo ridotte e quasi nessuna possibilità di esercizio fisico.

Un ventennio di crimini

Il 16 febbraio dunque in Russia è avvenuto l’ennesimo omicidio politico di cui è palese il mandante, Vladimir Putin. Un uomo dalla carriera politica segnata dal sangue dei propri concittadini e di quelli stranieri. Un cammino funebre iniziato nell’autunno 1999 con gli attentati di Boujnaksk in Daghestan, 4 settembre. Quel giorno la storia della Russia contemporanea sperimentava la prima esplosione di un edificio residenziale. Subito dopo, 8 settembre, è Mosca a subire lo stesso destino. Ancora, il 13 settembre, di nuovo la capitale russa e Volgodonsk, vedono saltare in aria palazzi cittadini. In tutto oltre 300 morti e 500 feriti.  L’ ondata di crimini, caratterizzando in senso anticeceno e antiterroristico la vita politica russa, lanciava l’uomo fino a quel momento scialbo primo ministro candidato da Eltsin alla guida del governo. Inizia così un percorso che passando dai bombardamenti in Cecenia, Siria, Ucraina, accompagnato dall’esecuzioni, secondo diverse modalità, di oppositori interni, ha raggiunto un nuovo provvisorio vertice con l’assassinio di Alexej Navalnyj. Una voce quella dell’oppositore russo, nato nel 1976 nelle vicinanze di Mosca e cresciuto in diverse città militari dell’Unione Sovietica, che il potere ha provato a silenziare in tanti modi per, infine, deciderne l’eliminazione. Una fine che sconvolge ma non sorprende.

Innanzitutto perché il Cremlino aveva già provato a ucciderlo. In questo senso quella di Navalnyj è stata una morte programmata e realizzata a rate. Il cui unico crimine sta nella sfida a Putin. La sua ironia, la sua popolarità, il consenso che raccoglieva nelle manifestazioni, il carisma che spargeva nei suoi incontri con la popolazione russa, in metropoli come in provincia, ne hanno segnato la condanna a morte.

Verità e giustizia contro il potere. Pravda contro corruzione

L’irriducibilità morale dell’attivista, la sua inesauribile ricerca di rettitudine, la sua utopica volontà di vivere secondo verità e giustizia, sono tratti profondamente ancorati nella cultura del suo paese. A tutto ciò lui vi aggiungeva la convinzione che per poter svolgere un autentico ruolo storico doveva agire in Russia. Da politico realista nel corpo e nell’anima, Navalnyj sapeva che sarebbe stato impossibile incidere, organizzare qualcosa contro il regime restando all’estero. Per tale ragione, lui, ma non solo lui, anche Vladimir Kara-Murza ha fatto la stessa scelta, sono tornati a vivere in Russia sapendo cosa li aspettava. Senza calcoli utilitaristici e disposti a pagare il prezzo delle loro scelte. E proprio questa attitudine all’assoluto ad averlo reso insopportabile all’attuale governo russo. Un ceto, quello attualmente al potere a Mosca, corrotto, come più volte provato da Navalnyj, dedito all’arricchimento personale e che intende fare di tutto per esportare il malaffare nel mondo.

La volontà di uccidere Navalnyj e quella di sterminare l’Ucraina affondano nello stesso humus. Impedire che la popolazione russa, attraverso coinvolgimento politico interno o esempi esterni, possa scegliere, al posto di decomposizione interna e imperialismo esterno, la strada della convivenza civile, dello sviluppo nazionale pacifico e remunerativo.

Un pensiero sdegnato dalle pratiche sovietiche

Quanto le peregrinazioni adolescenziali nell’Unione Sovietica del giovane Navalnyj hanno contribuito alla formazione del politico maturo?
Figlio di un militare, e con nonna ucraina, Alexej Navalnyj è cresciuto girovagando tra le diverse cittadelle belliche dell’URSS. Plasmato dalle discussioni familiari durante la fase dissolutiva della potenza comunista, il ragazzo nel 1986 ha potuto osservare come il potere sovietico affrontava il disastro nucleare di Chernobyl. Da adulto ripeteva di aver visto i funzionari, dopo la prima fase della messa in salvo degli abitanti della città colpita dal disastro nucleare, costringere gli sfollati ad abbandonare gli appartamenti prendendo solo lo stretto necessario. Il resto dei beni, una volta passati nelle mani delle autorità, venivano venduti nonostante si trattasse di materiale ancora contaminato.

La rabbia provata verso la corruttela di quei giorni e l’osservazione del clientelismo quotidiano aumenta durante gli studi universitari di diritto e finanza nella capitale. Altrettanto succede al momento della carriera imprenditoriale. La volontà di combattere la disonestà viene trasmessa al pubblico con un blog dove, il piccolo azionista, costringe alla trasparenza grandi aziende a maggioranza statale. Il suo pensiero politico-economico – semplice ed evidente a tutti – consisteva nel concetto che la popolazione russa avrebbe raggiunto il benessere se le élite avessero smesso di appropriarsi delle risorse naturali del paese.

Da qui un progetto politico basato fondamentalmente sulla lotta alla corruzione. Attraverso lo smascheramento delle ruberie di Stato sarebbe stato più facile agganciare le esigenze di strati più ampi della popolazione. Serviva però andare oltre i ceti urbani da sempre il suo zoccolo duro.

Navalnyj nazionalista e xenofobo. Davvero?

Sui rapporti, che pure ci sono stati, tra Navalnyj e il nazionalismo russo occorre precisare. Con la fine dello pseudo internazionalismo sovietico, la Russia ha visto la nascita di diverse forme di nazionalismo. Anime ideologiche che è possibile rappresentare, grosso modo, dai due estremi di un continuum.

Da una parte il nazionalismo modernizzatore, secolare e antimperiale di Konsatntin Krylov. Dall’altra un nazionalismo cosiddetto sovranazionale che, con Igor Cholmogorov dà alla nazione russa e al “santo popolo grande russo”, il compito di civilizzare il mondo con scopi escatologici. L’impero, e l’imperialismo, per Cholmogorov rappresenta il “coronamento della via storica della nazione” russa. È questa la strada imboccata dal Cremlino dopo le manifestazioni del 2011/12, quando centinaia di migliaia di persone sono scese in piazza per contestare il ritorno presidenziale di Putin. La potenza nazionalistica deve prendere il posto di benessere e sviluppo.

La fase nazionalista di Navalnyj è stata breve, come purtroppo la sua vita, per poterla definire con precisione. Esistono però dei punti fermi. Nel primo anniversario dell’aggressione russa all’Ucraina lui chiede il ritiro di tutte le truppe russe dall’Ucraina, riconoscimento del paese entro i suoi confini del 1991, risarcimento per le distruzioni causate dalla Russia e perseguimento internazionale dei crimini di guerra. Pubblicate nel febbraio 2023, nei 15 punti di un cittadino russo che augura ogni bene al suo paese queste parole escludono che Navalnyj abbia mai fatto parte del progetto nazional-imperialista russo.

Sulla vicenda una cosa però è certa. Come è suo uso il Cremlino ha usato la vicenda per manipolare sia il proprio pubblico che l’opinione pubblica occidentale. Ai primi presentando il politico di opposizione come un agente occidentale, sovversivo, corruttore di bambini e, più recentemente, denigratore dei veterani della II Guerra Mondiale. Ai secondi, invece, la propaganda russa riproponeva accuse verso Navalnyj di xenofobia e nazionalismo. In questa trappola sembra essere caduto nei giorni scorsi anche il Corriere della Sera. A poche ore dalla morte del prigioniero politico, sul sito del quotidiano appariva un articolo firmato da Paolo Valentino titolato: Enigma Navalny chi era davvero il principale oppositore di Putin. Titolo ambiguo e manipolatorio, subdolamente vicino alla propaganda del Cremlino. Titolo, infatti, quasi subito sostituito da La storia di Alexei Navalny, attivista russo e oppositore di Putin.

Sul presunto nazionalismo di Navalnyj, oltre ai 15 punti non può non valere quanto il politico russo ha dichiarato nel 2015 all’attivista polacco Adam Michnik: la collaborazione con i nazionalisti puntava a raggiungere le forze conservatrici alle quali i democratici non avevano accesso. Lo scopo: agganciare il nazionalismo borghese, quello che non si fonda su etnicismi razzisti e sensi di superiorità, ma riconosce diritti e libertà civili unitari.

Il Cremlino: un potere di ricatto globale

Due parole sui sostenitori dell’attuale regime russo in Italia e all’estero. È bene sapere che non esiste personaggio politico o meno, non vi sono partiti che avendo avuto a che fare col Cremlino non abbiano intravisto, o peggio subito, l’uso del ricatto, potenziale o meno, da parte dei russi. Ricatto basato su denaro, su prove in grado di compromettere chi, avendo seguito comportamenti, affermazioni o altro, teme la pubblicazione di documenti scritti, filmati o registrazioni in grado di inguaiarlo. È questa la pistola che da anni Mosca usa, sia, più spesso, al proprio interno, i famigerati Kompromat, che verso l’estero. Nel caso delle relazioni internazionali l’arma è maneggiata con maggiore attenzione ma quando spara ha sempre lo scopo di spazzare via carriere servili diventate, per ragioni diverse, inutili. Chi vuole capirlo, può dare uno sguardo al sito https://www.compromat.ru/ sottotitolo: Vec’ sor v odnoj izbe, Tutta la spazzatura in un solo secchio. In quel secchio hanno buttato molte vite, con altre ci hanno solo provato. Ecco questo gioco con Navalnyj non ha funzionato.  Troppo grande la sua vita. E, non vi è motivo di dubitarne, verrà il momento in cui essa risplenderà di nuovo. E darà luce non solo alla Russia ma al mondo. Come tutti i veri martiri.

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